Aveva ragione, è stato addirittura profetico, Gianfranco Cominiti quando, su GLI ALTRI, ha scritto: “Penso che il risultato di queste elezioni si sia in buona parte già deciso con le primarie del Pd e la sconfitta di Renzi, l’unico in grado di scombussolare gli schieramenti e toglierci dalla palude del berlusconismo–antiberlusconismo”.
Quella delle primarie fu la triste vittoria di quella casta geronto-partitocratica PD, quella dei secondi “ombra” come Franceschini, Letta, Marino, per non parlare di Veltroni e D’Alema, quella del partito che candida la senese Rosy Bindi in Calabria e la siciliana, da Modica, Anna Finocchiaro in Puglie e Bersani a candidato leder.
Quella di Bersani alle primarie è stata la classica vittoria di Pirro: distruggere in un sol colpo la possibile “rinascita” di quello che fu il grande partito della sinistra italiana, e, addirittura, ricreare le condizioni del terribile disastro della gioiosa macchina da guerra di Occhettiana memoria.
Il secondo risultato, di non secondaria importanza, è stato quello di sgretolare, ridicolizzandolo, Matteo Renzi. Questi da feroce rottamatore dell’intellighenzia PD, improvvisamente, divenne bersaglio della stessa, e della conterranea Bindi “Renzi è figlio del ventennio berlusconiano” (IL FATTO 25 NOVEMBRE 2012); “Renzi resti a Firenze” (IL FATTO 3 dicembre 2012); ma anche di Vendola, detto Niki, "Se vince Matteo mollo il Pd" (LIBERO 21 novembre 2012).
Poi lo scricchiolio si è fatto più profondo, più intenso e, addirittura, lo scenario ha assunto i contorni della farsa.
Renzi che da rottamatore si trasforma in un Bersani boy, e, se non bastasse, Nanni Moretti che circa dieci anni fa, il 2 febbraio del 2002, in Piazza Navona a Roma, gridava che con questa classe dirigente Pd (che nel frattempo non è per niente cambiata), non avrebbero vinto mai, oggi si è presentato al comizio conclusivo di Bersani dichiarando che lo avrebbe votato.
Poi c’è stato il voto.