pubblicato da il 24.07.2013
Sono molti i siti in cui si possono verificare le posizioni (ranking) delle università de tutto il mondo. I parametri sono diversi ma, comunque, cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia.
Se si ha la pazienza di scorrere, ma a lungo, uno di questi , il sito QS Topuniversties (http://www.topuniversities.com/university-rankings/world-university-rankings/2012) si potrà facilmente constatare, ancora nel 2012, come le università italiane, a prescindere l’indirizzo didattico e la latitudine geografica nazionale, soffrano il confronto internazionale. Secondo, infatti, l'ultima classifica pubblicata da QS, autorità molto prestigiosa del ranking internazionale, il primo ateneo italiano è quello di Bologna ma per trovarlo bisogna scorrere, come detto pazientemente, la classifica fino al 190esimo posto.....
Sapere ora, tra i perdenti, o, se si vuole ippicamente, tra i non piazzati, chi si classifica meglio o peggio, non è un gran discorso a meno che, e non mi sembra, non si voglia partire da questo punto per ripensare il sistema universitario in senso totalmente diverso.
Non risponde allo scopo già l’ultima “strana” riforma universitaria, così detta Gelmini, né, tantomeno, il modo con cui i vari Atenei, non escluso quello Federiciano, hanno colto questa occasione per cercare di darsi, comunque, un “restyling”.
Il sistema universitario italiano, tra le due guerre, non si trovava, sostanzialmente, su di un livello diverso rispetto ai propri corrispondenti europei. Poi l’avvento del Fascismo e l’autoreferenzialità ad esso connessa, male tuttora persistente, poi il sessantotto le sue demagogie delle università statali, del diritto allo studio, del docente unico, del tempo pieno e via via fino alla moltiplicazione degli Atenei per gratificare solo modeste ambizioni di docenti e politici locali. Il tutto al di fuori di qualsivoglia valutazione delle reali esigenze didattico scientifiche e della potenzialità locali integrate nonché della spesa e delle possibilità di un PIL, come pure richiese, in tempi non sospetti, il Rettore di Bologna Fabio Alberto Roversi Monaco.
Il Prof. Massimo Marrelli, Rettore della Federico II di Napoli, fa la sua parte “ex officio” cercando di sostenere che la responsabilità dello scadente risultato della Federico II debba essere ascritto al 10% di docenti “inattivi” percentuale, peraltro, sostanzialmente poco diversa presente anche negli altri Atenei. Non una parola sul quel 90% che, invece, non assorbe, non ammortizza quel “caput mortuum” né, tantomeno, della latitudine nella Federico II (ex istituti, ex Facoltà, ora Dipartimenti) degli “inattivi”, né se l’inattivismo possa, anche solo in parte, essere ascrivibile al fenomeno del “nepotismo”, da cui la Federico II non è esente. Non una parola sul possibile conflitto d’interessi scientifico fra l’Ateneo e i numerosi Centri di Ricerca non universitari della Regione in alcuni dei quali, addirittura, l’Ateneo è socio e che drenano o distraggono, a dire poco, almeno energie intellettuali.
Tuttavia che i criteri dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario (ANVUR), da cui l’attuale caccia alle streghe, per la loro “rigidità”, non fossero accettabili “tout court” fu chiaro, lo scorso anno, e da subito alla commissione statuto dell’Università Federico II tanto che, personalmente, chiesi ed ottenni, che a statuto fosse scritto chiaramente che il “nucleo di valutazione”, l’organo indipendente all’Ateneo, che, tra l'altro, (art.22) “ha il compito di valutare le attività didattiche, di ricerca” operi le sue scelte “tenendo anche conto – quindi non esclusivamente - dei criteri di valutazione fissati dall'ANVUR”.
Meraviglia che il Rettore Marrelli non citi questa circostanza.
Pertanto il Magnifico Rettore, con riferimento alla norma statutaria, non accolga passivamente il giudizio dell’Agenzia, piuttosto faccia stilare la sua graduatoria dal “Nucleo di Valutazione” dell’Università Federico II e, se dissimile da quella dell’ANVUR, apra un contenzioso con l’Agenzia ma, soprattutto, si faccia carico di ripensare la Federico II nel contesto di un’autonomia universitaria più regionale che statale chiedendo al Presidente Stefano Caldoro e, soprattutto, a Guido Trombetti, ex rettore e adesso vicepresidente della Giunta con delega all’università, di riprendere lo strumento di quella legge regionale esistente sull’Università del 2004, promossa da Giuseppe Ossorio e Gino Nicolais, che al di là del dato finanziario modesto dell’epoca, poneva però, con grande e lungimirante anticipo il dato politico dell’accudimento del governo Regionale alle università del suo territorio.
Lucio Palombini
membro della Commissione Statuto
Università degli Studi Federico II