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LONGANESI E LE VELE DI SCAMPIA

Sono state stanziati ben 18 milioni di euro per abbattere tre dei quattro residui edifici di Scampia (altri tre sono stati già abbattuti), mentre solo l’ultimo dei sette del progetto originale sembra possa essere destinato a possibili strutture amministrative.

Questo complesso edilizio di architettura popolare è stato il frutto dell’opera del noto progettista Francesco (Franz) Di Salvo (1913–1977) e, originalmente, definito “le Una "vela" di Scampiavele” perché si ispira alla sagoma della vela latina, ma il cui il termine è oggi purtroppo tristemente sinonimo non solo di degrado urbano e sociale ma anche di latitanza istituzionale. E quest’ultimo aspetto è poco o niente discusso.

Il progetto forse discutibile sul piano dell’abitabilità e “ca va sans dire” anche dal punto di vista “latitudinale”, non lo è affatto nell’estetica (originale) e, soprattutto, nell’idea politico-progettistica di espansione a est della città, cara ai repubblicani e a Francesco Compagna, direzione dove nell’ultimo periodo si è a lungo insistito anche per la localizzazione di un nuovo stadio.

La questione da porre oggi se siamo “complessivamente”, come Paese e Regione, nella condizione di destinare e utilizzare fondi, e di tale entità, per solo abbattere edifici esistenti, e costruiti solo a cavallo degli anni sessanta e settanta, e non, piuttosto, riqualificarli, manutenerli ed, eventualmente, anche immaginarli per una destinazione diversa, come, ad esempio, l’insediamento della sede periferica della facoltà di medicina.

Molti anni fa l'intellettuale Leopoldo (Leo) Longanesi, (1905–1957), ebbe a dire "Alla manutenzione, l'Italia preferisce l'inaugurazione".

All’aforisma di Longanesi oggi potrebbe essere aggiunto anche “l’abbattimento”.

 

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