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La non donazione d’organo riflette la questione più generale di non cultura del post-mortem

La collega Rosa Carrano, con riferimento alla drammatica mancanza di donazione di rene, afferma, prima sul Corriere del Mezzogiorno e poi anche su Il Mattino, che “In Campania e al Sud Italia in generale c'è purtroppo un problema di tipo culturale, c'è il culto del corpo e della sua conservazione anche da morto”.

Quest’affermazione è, probabilmente, vera ma, forse, è troppo facile liquidare un argomento tanto complesso e diffuso attribuendo le cause del fenomeno solo alla poca cultura se non, addirittura, alla sottocultura egoistica dei possibili donatori o dei loro congiunti.

Da noi, verità, andrebbe ammesso che, al di fuori di quella confessionale, non c’è, in generale, la cultura del post-mortem.

Tale affermazione può essere facilmente verificata osservando lo scandalo della manutenzione dei cimiteri, peraltro anche privi da sempre della civile possibilità della cremazione, gli atti di vandalismo cui sono oggetto, ma anche le condizioni delle sale mortuarie delle nostre strutture sanitarie e, infine, costatando anche che questa cultura della fine manca nella formazione medica universitaria della nostra città.

Via Luciano Armanni“Hic mors gaudet succurrere vitae”. Questa frase dettata da Luciano Armanni (1839-1903) Anatomo patologo, allievo di Otto von Schron (1837-1917), era presente nell’atrio dell’edificio monumentale, appunto di via Luciano Armanni, sede storica degli Istituti Anatomici dell’antica Facoltà medica Napoletana, proprio per esaltare la religiosità e l'alto contributo del riscontro diagnostico (autopsia).

In realtà tutti i settorati “storici” della città, da quello dell’Ospedale Cardarelli, a quello dell’Istituto Tecce, anch’esso in via Luciano Armanni, a quello del Principe di Piemonte-Monaldi, e, pur anche, quello della “moderna” Facoltà di Medicina e Chirurgia Federico II sono scomparsi, o svolgono attività minimali, forzosamente, talvolta, collegata alla medicina legale.

La scomparsa dei settorati anatomici comporta che si laureano in medicina e, in seguito, si specializzano, giovani che non solo non hanno mai visto una “salma” ma non hanno mai assistito alla “sacralità” del “sollevamento della pelle” del riscontro diagnostico, e, ciò che è più grave non hanno alcuna dimistichezza con il metodo epicritico a esso connesso. Addirittura, con il tempo, si è persa la consuetudine a richiedere il riscontro diagnostico da parte dei clinici e, quindi, a eseguirlo da parte degli specialisti anatomo-patologi.

Questa non cultura del post-mortem nel quotidiano e, addirittura, negli studi potrebbe, tra l’altro, avere la dolorosissima ricaduta delle mancanza di donazioni di organi, concausa mai, purtroppo, richiamata in anni di dibattiti e su cui, forse, andrebbe fatta da parte della collega Cassano, e non solo, una riflessione più attenta e di maggiore respiro.

Se come dimostra l’assenza di sale di riscontro diagnostico, contrariamente a quanto scritto da Armanni, “mors non gaudet succurrere vitae” aiutando e educando gli altri, i vivi, attraverso l’estremo, religioso travaglio dell’autopsia, perché mai dovrebbe “gaudere” con la generosità della donazione?

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