Lucio Palombini.....Blog

Pubblicazioni

Il Caso del Mese

Calendario

Loading ...

Foto

Blog Achivio

Inviato il

OGGI 17 FEBBRAIO CADE LA RICORRENZA DELLA MORTE DI BRUNO GIORDANO

Giordano BrunoBruno Giordano, nato Bruno Filippo (1548–1600), è stato un filosofo, scrittore, e frate domenicano italiano fu condannato e morto al rogo il 17 di Febbraio in Roma (Piazza dei Fiori) dall'Inquisizione della Chiesa romana.

Della sua vita Giuliano Montaldo ha girato un bel film nel 1973 avvalendosi di una straordinaria interpretazione di Gian Maria Volontè, con la bellissima Charlotte Rampling nel ruolo di Fosca una cortigiana veneziana e con la colonna sonora di Ennio Moricone.

La sua tragica fine ci ha voluto tramandare un simbolo di coerenza dell’uomo di scienza e, nel tempo, per la violenza subita dal potere, rappresentato dalla chiesa cattolica e dal suo braccio l’Inquisizione, è diventato incarnazione di tutte le vittime di ogni forma passata e presente di fanatismo, d’intolleranza, di violenza, di barbarie.

Alcuni, come Indro Montanelli, ritengono che, forse, il simbolismo attribuitogli ha travalicato la figura storica di Giordano Bruno.


E SI CREO’ UN CAMPIONE DEL LIBERO PENSIERO

dalla "Stanza" del "Corriere della Sera" del 26 Novembre 1996 Indro Montanelli, risponde a un lettore che chiedeva come mai la Chiesa rivangasse quell’accadimento.

"A dire il vero, non mi pare che sia la Chiesa a rivangare. Siamo noi laici che la costringiamo a farlo con le nostre rievocazioni, di cui credo ch’essa farebbe molto volentieri a meno. A sollevare il caso di Bruno non è stato certamente Ruini, il quale ha soltanto concesso un’intervista cui non poteva sottrarsi, per rilasciare dichiarazioni che mi sembrano molto equilibrate. Certamente ha condannato il supplizio del rogo: come avrebbe potuto difenderlo? Ma si è ben guardato dall’assolvere ed avallare l’opera e il pensiero per i quali Bruno fu condannato. Ed ha avuto piena ragione di non farlo.

Io non sono un profondo conoscitore (e mi chiedo se ce ne siano) degli scritti di Bruno. Mi sono provato a leggere lo Spaccio de la bestia trionfante e De la causa, principio et uno. Non ce l’ho fatta che per poche pagine. Di quello che si suole chiamare “il pensiero di Bruno” sono riuscito a capire qualcosa solo grazie ad una sinossi inglese dalla quale ho tratto la convinzione che il rogo fu tremendo, sproporzionato e inumano supplizio, di cui è giusto che la Chiesa si penta, ma fu anche per Bruno una grande fortuna perché, senza il rogo, oggi di lui nessuno più si ricorderebbe. Certamente, quando era monaco domenicano, Bruno doveva aver letto molto: non soltanto i Padri della Chiesa, anzi questi molto meno dei classici dei classici latini e dei filosofi greci ed ebrei. Ma ne faceva delle miscele confuse anzi spesso contraddittorie.

Dopo essersi sfratato, non fece che vagabondare per l’Europa in cerca di protettori danarosi e di cattedre universitarie. Riuscì ad ottenerne parecchie, non solo di filosofia, ma anche di scienza, grazie alla sua prodigiosa memoria che gli consentiva d’interloquire su tutto, ed alla sua oratoria magniloquente e torrentizia, lardellata di citazioni, scomposta e lutulenta; ma sempre riuscì a farsene cacciare per i suoi litigi con colleghi e superiori. Ad un certo punto chiese di tornare in seno alla Chiesa, che lo riaccolse, ma poco dopo si sfratò di nuovo e si mise a predicare una sua confusa cosmogonia in cui c’era forse un anticipo di Galileo, come dicono alcuni suoi apologeti, ma più ancora di Cagliostro. Si presentava come “l’amante di Dio, dottore della più alta Teologia, professore di cultura purissima e innocente, vincitore dell’ignoranza presuntuosa e persistente”. La modestia, come si vede, non era il suo forte. Al processo intentatogli dall’Inquisizione giocò dapprima le carte del “pentito” dicendo che “tutti gli errori che ho commesso ora io li detesto et abborrisco et ne sono pentito d’aver fatto, detto, creduto e dubitato di cosa che non fosse cattolica, et prego questo sacro tribunale che conoscendo le mie infermità voglia abbracciarmi nel grembo di Santa Chiesa…”. Ma il tribunale era presieduto dall’ascetico e gelido Cardinale Bellarmino, che per sette anni lasciò languire l’imputato in una dura prigione. Quando capì che la sentenza sarebbe stata di morte, Bruno si pentì del pentimento e ritrovò i suoi toni aggressivi e violenti. Lo condannarono come eretico. Ma in realtà Bruno era soltanto uno sfrenato egocentrico, ribelle per protervia a qualsiasi autorità. Tuttavia, dopo aver vissuto tanto male, seppe morire bene. Alla vigilia del supplizio rifiutò l’abiura e, quando sul palco gli misero sotto gli occhi un crocefisso, volse la testa.

Il sacrificio di Bruno fu ampiamente sfruttato dalle forze risorgimentali in lotta con la Chiesa per la formazione di uno Stato nazionale laico. Ma quella polemica falsò, ingigantendola, la figura di Bruno come campione del libero pensiero. E questo fu il prezzo che la Chiesa pagò a quel rogo che, oltre che un delitto, era stato un marchiano errore".

 

Last modified il
Taggati su: Ricorrenze
0

Commenti