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QUELLA PERENNE RAPPRESENTAZIONE DEL MITO DI ICARO

Serenamente e seriamente andrebbe fatta chiarezza sul perché quelle che, una volta, erano le strutture assistenziali Policlinicoconnesse alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli studi Napoli Federico II che, oggi, costituiscono l’Azienda Ospedaliera Federico II, siano andate tanto rapidamente in declino, dopo un rapido, importante, ma del tutto fugace momento di grande ascesa.

Le cause del declino delle strutture clinico assistenziali sono molteplici e la decadenza non riguarda solo il più evidente aspetto edilizio e organizzativo, ma, purtroppo, coinvolge anche, e soprattutto, escluse alcune, rare eccellenze, la vera e propria proposta diagnostica dei servizi centrali e quella clinica delle vere e proprie attività mediche e chirurgiche, sia generali che specialistiche.

Da un indagine compiuta da Repubblica utilizzando i dati Agenas, l'agenzia nazionale per i servizi sanitari delle Regioni, di 1.440 ospedali pubblici e convenzionati italiani, classificati in base ad alcuni indicatori fondamentali l’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II risulta l’ospedale peggiore d’Italia preceduto dall’Azienda ospedaliera G. Martino di Messina, dal Monaldi di Napoli, dal San Filippo Neri di Roma e anche dall’Azienda universitaria Policlinico di Napoli (seconda Università).

Una sorta di en plein per la Regione Campania che si dirà è commissariata e pure senza assessore.

Finelli LuigiQuesti dati in un’Accademia normale e in una Regione normale avrebbero dato adito almeno ad un dibattito, ad una interrogazione regionale, ad una seduta ad hoc degli Organi di Governo Universitario e, invece, sono passati tra la colpevole indifferenza generale.

Luigi Finelli, chirurgo, Professore Aggregato Universitario, già consigliere di Amministrazione dell’Università Federico II, il giovedì 17 Ottobre ha scritto per “la Repubblica Napoli”, il suo punto di vista sul declino sanitario dell’Università Federico II di Napoli che di seguito riporto ….


POLICLINICO DIAGNOSI DI UN MALE

La Repubblica Napoli LOGOHo letto su alcuni quotidiani della decadenza del Policlinico Federico II e ho letto le risposte addotte che, come sempre, scaricano le responsabilità sulla carenza di personale, di risorse, sulla mancanza di turn-over e soprattutto sull’eccessiva mole di lavoro che si è costretti ad affrontare in condizioni sempre di precarietà e d’ emergenza.

Ancora una volta si giustifica il declino dell’Azienda scaricando le colpe sulle Istituzioni incapaci, secondo molti, di sopperire ai bisogni della struttura complessa.

Sembra davvero che il tempo delle bugie giustificative ed un’atavica incapacità non solo di gestione, ma soprattutto di programmazione e di scelte di uomini, debba necessariamente continuare e non avere mai un momento di riflessione critica.

Il Policlinico non funziona e non potrà funzionare in futuro se non si porrà fine ad un sistema di protezionismo personale che ogni docente, con il suo reparto, la sua storia grande o piccola che sia, con le sue capacità o incapacità, pone costantemente sul tavolo, spesso nascondendosi  dietro quella parola magica che si chiama ricerca.

Un’occupazione media di posti letto modestissima rispetto alle capacità, una chiusura protezionistica nei confronti dell’ospedalità, in particolare del Cardarelli che soffre costantemente della carenza di posti letto;  una mal distribuzione del personale sanitario presente in numero considerevole, soprattutto se si tiene conto dell’ enorme forza lavoro degli specializzandi a cui spesso sono affidate le sorti e la conduzione dei reparti di cura; un’assenza completa di verifica ed utilizzo, non a scopo personalistico, degli spazi; l’ assoluta nolontà di mettere mano alla proliferazione di ruoli primariali, spesso inesistenti, senza reparti e addirittura senza personale; il funzionamento di specialistiche complesse, come le chirurgie, mal distribuite e parzialmente funzionanti, sono solo alcune delle cose che un amministratore, senza alcuna competenza specifica, sentirebbe il dovere di fare.

Come  si  può continuare a denunciare la carenza di personale, le difficoltà connesse al complesso problema dei ruoli integrati: assistenza –didattica e la parola magica  “ricerca”, la necessità di altri spazi e addirittura di altro personale medico?

Varrebbe la pena di scrivere la storia del Nuovo Policlinico, per poter raccontare soprattutto gli ultimi trent’anni, quel passaggio da quella classe dirigente cosiddetta dei baroni a quella successiva,  che ha prodotto non solo danni sull’efficienza della struttura, ma ha licenziate generazioni di medici ed operatori sanitari privi di quel senso etico-morale che è stato e  rimane la ragione della professione medica.

Basta fare una passeggiata nei corridoi dii qualsiasi reparto del Policlinico Universitario dopo le 15  per rendersi  conto dello  spreco di risorse e di spazi ,  per capire la sottoutilizzazione  e per porsi, per così dire in modo spontaneo, le solite domande:

 Non si può interagire con  il vicinissimo  Cardarelli nella annosa e quotidiana ricerca di posti letto?  Non si possono utilizzare tutti i sanitari per turni differenziati in modo da garantire un servizio oltre le 15?   Non si possono accorpare per specialità,  le aree funzionali in modo da aver maggiore produttività e minor costi?   Non si possono diminuire o abolire i primariati inutili, improduttivi e magari lasciare al docente solo l’insegnamento e la  ricerca senza,  per forza affiancargli un reparto assistenziale?   Non si  può modificare la produttività, data a chiunque senza alcuna valutazione, in un reale premio di efficienza e prestazioni?   Non si può  migliorare il livello di assistenza evitando che siano in gran parte gli specializzandi ad essere, per la maggior parte del tempo, presenti nei reparti?   E infine si può dare a chi merita, chi sa essere e sa fare il medico,  il giusto valore, indipendente dalla provenienza familiare e dai cosiddetti lavori di ricerca?

Sono tutte cose possibili, ma quasi  40 anni di presenza, anche per molti anni  come consigliere di amministrazione dell’Università, mi hanno insegnato che bisogna che prima si affondi.

Ora affonda, affonda nella realizzazione di megadipartimenti  di oltre 50 docenti, come previsto dalle ultime disposizione, costituitisi  con un apparente criterio di omogeneità, ma di fatto molto diversi  e poco integrabili come professionalità;  affonda nello stallo di decisioni,  quali, ad esempio ,la chiusura di reparti improduttivi o il loro accorpamento;   affonda nella determinazione  di non voler  realizzare un pronto soccorso  che possa snellire il pesante lavoro del  vicino Ospedale Cardarelli, ma soprattutto affonda nella confusione che obbliga un docente di medicina, necessariamente, a ricoprire in ragione del suo ruolo universitario la dirigenza di primo o secondo livello che, in termini pratici, significa per un professore associato svolgere il compito di  aiuto con un probabile incarico primariale,  per l’ordinario, di diritto,  il ruolo primariale.

E non trova più consensi e giustificazione la multidisciplinarietà di un professore, ne l’accezione della gestione diretta.  

Si può e si deve dividere la carriera universitaria da quella ospedaliera.   Non sempre, essere un buon docente o un abile ricercatore corrisponde alla  capacità di essere un buon medico, d'altronde i metodi  ed i modi per la carriera universitaria medica  non tengono, in alcun conto, le esperienze sul campo. Si può  infatti diventare prof di chirurgia , medicina  ecc  senza, non solo aver fatto consistenti esperienze in reparti di diagnosi e cura, ma addirittura con un esame soltanto teorico che tiene in considerazione solo l’aspetto cosiddetto “magico” della Ricerca.  E  quale ricerca, dove e come?

Il momento  dell’affondamento credo sia giunto, ora si deve solo salvare il salvabile e ricominciare di nuovo

L’Università , diceva un grande saggio, sviluppa tutte le capacità dell’individuo, compresa l’incapacità

 

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