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A PROPOSITO DEL DL IMU-BANKITALIA E …DINTORNI
aggiornato lunedì 3 Febbraio 2014, ore 12:49
A volere essere imparziali dopo quanto accaduto alla camera in occasione del DL IMU-Bankitalia, al di la delle plateali, volgari esternazioni che oramai, purtroppo, non fanno nemmeno più notizia, a farci bella figura è stato Luigi Di Maio, napoletano, vice presidente della camera, sia nella sua conferenza stampa che, successivamente, quando ha partecipato alla trasmissione televisiva di Santoro. Tesi pacate e precise difficili da confutare.
Colpisce poi che un capitano di lungo corso come Rosy Bindi, intervistata sull’argomento DL IMU-Bankitalia, abbia affermato distinguendo ovviamente tra forma e sostanza: “I cinque stelle si stanno comportando così male che rischiano di offuscare anche le ragioni che pongono”…. “Non si può parlare di regalo alle banche, però su una cosa M5S ha ragione: quando sono stata al governo non me li hanno mai firmati i decreti disomogenei”.
Tuttavia, al di là della disomogeneità, ai più è apparso grave il comportamento istituzionale del presidente della Camera on Laura Boldrini che ha chiuso la discussione sul DL IMU-Bankitalia ricorrendo ad uno strumento regolamentare non presente alla Camera, apparendo ai più inadeguata per quel ruolo.
All'uso della "tagliola" nel 2009 ci provò anche l'allora presidente della Camera On Gianfranco Fini. Questi se lo si poteva permettere considerata la sua "decisionistica" origine politica ma non Laura Boldrini che si dichiara lontana, a parole, da quella cultura. Ebbene nel suo eterno doppio moralismo il DS, erede del PCI, sdegnato si oppose all'epoca giudicando quello strumento la fine della democrazia parlamentare, mentre oggi fa qualificare l'uso degli ghigliottina atto "ineccepibile", per bocca dell'ingenuo e non memore Roberto Speranza.
E ci si continua a chiedersi chi sono coloro che votano il M5S.
Ovviamente ci si dovrebbe aspettare che il Presidente non firmi quel DL “disomogeneo”.
Elettra Deiana, Cagliari, Laurea in lettere moderne, membro della Presidenza Nazionale di Sinistra Ecologia Libertà, già parlamentare del Partito della Rifondazione Comunista che nel 2008 non è stata rieletta ha scritto il 31 gennaio 2014 e pubblicato in Le Altre Idee, riportato da GLI ALTRI, un bellissimo articolo che di seguito riporto e, tra l'altro fa porre l'inquietante domanda lei non rieletta ed altre si.
L’uso arbitrario della ghigliottina
Governabilità mito antidemocratico
L’istituto della ghigliottina, nella forma di stretto contingentamento dei tempi della discussione, è previsto soltanto a Palazzo Madama, normato dagli art. 78 Comma 5 e art. 55 Comma 5 del regolamento del Senato. Non è invece previsto in quello della Camera.
Se non è previsto non è un atto di responsabilità ricorrervi ma un discutibile atto di arbitrio. Non a caso, non si è mai verificato il caso che un presidente della Camera ne facesse uso. Il precedente sta soltanto in una azzardata dichiarazione di Luciano Violante, nel periodo in cui fu presidente della Camera, cioè la XIII Legislatura. Violante allora si sentì in dovere di sentenziare, con quel piglio da re che ancora contraddistingue alcuni eredi del vecchio Pci, che, sia pure in assenza della ghigliottina, rientrava nella sua responsabilità assicurare la deliberazione della Camera sui decreti-legge, ricorrendo, se necessario, proprio a quello strumento estremo. La logica dell’ “Ipse dixit”, insomma. Ma se glielo chiedete, lui spiegherà che non c’è nulla che non sia a posto sul piano della legittimità politica. E sulla legittimità istituzionale? Bella domanda, senza risposta ovviamente, perché non prevista.
La presidenza della Camera non ha nessun obbligo verso le esigenze, le priorità o i pasticci del governo. Che per la prima volta la ghigliottina sia stata usata dalla presidente Boldrini mi ha messo in uno stato di grande disagio. E non perché Laura Boldini sia stata portata in Parlamento da Sinistra Ecologia Libertà. Anche per questo, forse, ma soprattutto perché la sua scelta, sicuramente sofferta, ma non è questo il punto, conferma che all’onda della cultura politica ormai dominante, pervasa dalla libido della governabilità a tutti i costi, plaudente al decisionismo acostituzionale, piena di disprezzo verso le regole scritte e la fatica umana e storica, per arrivare ad averle scritte davvero, non c’è più difesa. Da parte di nessuno. Resa totale, attraverso le cui faglie esplode ovviamente la rabbia antisistema di chi, come il M5S, usa il richiamo alla Costituzione come una clava, l’aula come un ring, la parola pubblica dell’essere parlamentare come una fatwa. Ma va ricordato che i pentastellati avevano comunque chiesto che il decreto monstrum Imu/Bankitalia fosse spezzato in due. Subito l’Imu e poi un nuovo iter per la questione relativa alla Banca d’Italia. Richiesta ragionevole, oltre che giusta, per una questione – Banca d’Italia – eminentemente nazionale, con propaggini europee, di cui il Parlamento sarebbe dovuto essere investito a pieno titolo e con i tempi necessari a un vero confronto. Ma i pentastellati scelgono sempre la messa in scena furiosa che sempre nasconde le loro buone ragioni anche, come in questo caso, ci sono. Deriva politico-istituzionale che ha ormai molti coprotagonisti, mossi da un coacervo di interessi e pulsioni divaricanti, che poco hanno a che vedere con “l’interesse degli italiani”, come da tutte le parti si pontifica. O dei “cittadini”, come sbraitano i penta stellati, arrivando a mettere in atto inquietanti scene da guerriglia urbana. I luoghi non sono soltanto luoghi.
A Luciano Violante il quale da presidente della Camera spiegava come non fosse “accettabile in nessun sistema politico democratico che sia una minoranza a deliberare e non una maggioranza” si sarebbe dovuto rispondere già allora – e oggi come non mai – che la forsennata escalation verso la decretazione d’urgenza tout azimut, arrivando a mettere insieme questioni che non hanno nessuna attinenza l’una con l’altra, costituisce una violazione di fondo della funzione parlamentare, così come essa è definita e tutelata dall’articolo 77 della Costituzione. Articolo chiaro, limpido, inequivocabile, che stabilisce l’eccezionalità della decretazione d’urgenza e ne ordina le procedure nel senso di salvaguardare il principio chiave che la funzione legislativa deve comunque restare nelle mani del Parlamento. Senza le garanzie dell’articolo 77, anzi nella rimozione completa di quell’articolo – basti seguire qualche talk show dove si discutono le cose sull’onda della cronaca politica dell’ultima ora e delle dichiarazioni di questo o quel leader, senza stare storia, richiami, connessioni – sarà certamente assicurato il diritto della maggioranza di portarsi a casa qualsiasi bottino a qualsiasi costo. Ma sempre più a scapito e contro i principi della democrazia rappresentativa. C’è una formula che fa rizzare i capelli anche in testa a chi non ce l’ha tra quanti in queste tumultuose settimane si affannano a difendere il principio della governabilità purchessia, senza regole, limiti, garanzie per chi non sia d’accordo, sostenendo che invece non c’è nessun attentato alla democrazia. La formula è quella usata per la prima volta da Alexis de Tocqueville, preoccupato che i troppi mettessero sotto scacco definitivo le minoranze. Si chiama tirannia della maggioranza e nel conflitto tra governabilità e rappresentanza costituisce il piedistallo che va costruendo la vittoria – vuota per altro – della prima.
Che la crisi della governabilità sia sempre più la conseguenza di una crisi senza fine della politica, delle sue storture e del suo degrado, della sua subalternità a poteri che sfuggono al suo controllo e alla sua decisionalità, in primis quello economico-finanziario, della personalizzazione degli interessi e delle carriere e via discorrendo, è materia nota ma che viene trattata nel dibattito come un capitolo a parte rispetto all’assillo ideologico della governabilità. A cominciare dal capo dello Stato, a cui competerebbe il compito di avere cura dell’ordinamento costituzionale, spiegando, attraverso pertinenti azioni di moral suasion, come stanno insieme e si tengono le cose. Ma lasciamo perdere. Il presidente della Repubblica è da tempo protagonista tutto politico, con pieno e decisivo ruolo e scarsa preoccupazione di impartire lezioni di Costituzione. Ruolo insomma più extra costituzionale che mai, il suo. Ma che esistano i presupposti dell’impeachment fa soltanto ridere, se soltanto si hanno chiare due cose: da una parte la complessa natura del ruolo e delle responsabilità del Presidente, secondo l’articolo 90, dall’altra la consapevolezza che il ruolo del Quirinale è quello che è perché la politica non vuole, non può, non è proprio in grado di fare alcunché di diverso da quello che Napolitano costruisce e suggerisce. Inoltre chi sentenzia del Parlamento come di una “scatoletta di tonno da aprire” dovrebbe riflettere seriamente sulla natura del proprio rapporto con la Costituzione e del proprio ruolo un po’ extra di rappresentanti, “cittadini” in simbiosi diretta con i cittadini della rete.
Tagliola? No prego, ghigliottina. Mi è venuto il nervoso per questo balletto linguistico. Strumenti di strazio e di morte l’una e l’altra, la tagliola e la ghigliottina. Invocate, sbagliando la parola o precisandola, ma con una sola idea: portare a casa quello che il governo Letta ha messo nel carniere, e mandare a quel paese, una volta di più, la rappresentanza democratica. Spesso le parole anticipano, alludono, evocano. Lo strazio o la morte del sistema democratico, delle sue regole interne e della sua forza morale, di quello spirito costituente che non dovrebbe mai estinguersi nei poteri costituiti e della sua vocazione espansiva e inclusiva che la Costituzione disegna ma non può più garantire, perché no più incarnata in niente e nessuno, Bisognerebbe pensarci su seriamente, ma non succede. Ovviamente.
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