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QUEL BIZZARRO DECRETO SULLE “ANALISI DI LABORATORIO”, L’UNIVERSITA’ E GLI ECM.

Un decreto della ministra Beatrice Lorenzin taglia le prestazioni mediche ritenute "inutili", tecnicamente definite “non appropriate”.

Si tratta di un pacchetto di misure, nell’ambito della “spending review” sulla Sanità, per un totale di 6,9 miliardi in tre anni. Sebbene, obiettivamente, la spesa sanitaria incida molto, oltre il 75 per cento nei singoli bilanci regionali, sette miliardi circa, anche se in tre anni, non sono proprio noccioline.

Il decreto fa riferimento soprattutto agli “accertamenti diagnostici” (radiologia e laboratorio) che, in futuro, dovranno essere giustificati scientificamente affermando quindi indirettamente che oggi non lo sono....

 

Questa considerazione conferisce al decreto un significato che, ben oltre il suo “brutale” e reale contenuto economico, si trasforma in un “j'accuse” politico per la “formazione medica” e, quindi, per l’Università, custode della stessa, ma anche in un  “boomerang” per il Ministero della Salute stesso che gestisce l’Educazione Continua in Medicina (ECM) che, come può leggersi sul sito, “è il processo attraverso il quale il professionista della salute si mantiene aggiornato per rispondere ai bisogni dei pazienti, alle esigenze del Servizio sanitario e al proprio sviluppo professionale”.

La vicenda viene da lontano cioè da quando la declinicizzazione e la biologizzazione delle Facoltà di Medicina e Chirurgia, determinatasi alla fine degli anni 80 con il riordino degli studi universitari, ha Beatrice Lorenzinprodotto la cultura di un metodo diagnostico terapeutico che si basa preliminarmente più sui risultati analitici e radiologici che sull’osservazione clinica cui, invece,  dovrebbero seguire. Metodo sbagliato tanto che già nel 1922 Francis W Peabody ammoniva “buona medicina non consiste nell'applicazione indiscriminata degli esami di laboratorio ad un paziente, ma piuttosto nell'avere così chiara la comprensione delle probabilità di un caso da sapere quali indagini possono essere di valore” (The Physician and the Laboratory. Boston Med Surg 187:324-327,1922).

Trattare pertanto una materia tanto complessa per decreto sembra almeno bizzarro e tanto più bizzarro perché dalla ministra viene dichiarato essere stato concordato con la conferenza Stato Regioni e addirittura con le Società scientifiche.  La bizzarria è poi tanto più inaccettabile perché, come sempre, è colpito da subito il paziente cioè l’elemento più debole e non colpevole che la sua sanità in fin dei conti l’ha pagata con le contribuzioni e continua a pagarla con l’odiosa compartecipazione rappresentata dai “ticket”.

Per decreto il ministro e il ministero forse dovrebbero e potrebbero, attraverso le regioni, la conferenza Stato Regioni e le Società scientifiche, rivedere gli accreditamenti, subordinare l’espletamento delle indagini alla saturazione della disponibilità pubblica delle stesse e, soprattutto, mettere in piedi un serio sistema di controllo sulle stesse prestazioni e non beceramente abolirle in tema di “spending review” giustificando il tutto con l’apodittica qualificazione dell’inappropriatezza delle stesse.

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