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UNIVERSITA' FALLITA LA FORMULA DEL 3+2

Israel GiorgioGiorgio Israel (1945) è professore di storia della matematica all’Università di Roma La Sapienza, membro dell’Académie Internationale d’Histoire des Sciences.

Ho imparato a conoscerlo da IL FOGLIO e poi dal suo blog.

Ieri, 2 Febbraio, ha scritto sul IL MATTINO  di Napoli un articolo che ripropongo integralmente

Università, fallita la «formula 3+2»

 

Un anno fa, in occasione del dodicesimo anniversario della riforma universitaria berlingueriana del"3+2" (laurea specialistica e laurea magistrale) si fecero alcuni bilanci ottimistici. Con quanto fondamento lo vediamo ora, constatando che il numero degli studenti universitari è crollato, accanto a una pesante diminuzione del numero dei docenti. Né la diminuzione della natalità può giustificare simili numeri, anche in presenza di un aumento della scolarità e delle riforme che miravano ad aprire gli accessi a un numero sempre maggiore di studenti.

Può stupirsi solo chi non abbia seguito le vicissitudini dell'università in questo lasso di tempo. Al solito grido "l'Europa lo chiede" (il che era anche falso), si costrinsero le università a dedicarsi per alcuni anni al compito immane di mettere in piedi un sistema barocco ed elefantiaco di crediti. S'introdusse una laurea triennale dequalificata, spezzettata in micro-insegnamenti e che non da accesso a quasi nessuna professione. Si sostituì la collaudata laurea quadriennale con una laurea quinquennale, un "+2" di cui metà serve a tappare le falle del "3" e l'altra metà a fare appena qual cosina in più. Quindi, tre anni per ottenere un pezzo di carta che non vale niente, cinque anni per ottenere qualcosa che vale meno delle vecchie lauree quadriennali, spendendo un anno in più di tasse. Di che stupirsi se un simile sistema sia risultato assai poco attraente? Inoltre, uno dei canali fondamentali, quello della formazione degli insegnanti è stato prosciugato. Prima lo si è fatto passare attraverso un'istituzione a dir poco discutibile, le SISS (Scuole di specializzazione per l'insegnamento) che costringevano ad altri due anni di corsi (ben sette anni in totale). E il tentativo di ridurli a uno con il TFA (Tirocinio Formativo Attivo) è stato vanificato e ridotto a una parodia da una ridda di interventi, modifiche, deroghe e test di accesso assurdi. Si aggiunga che la frantumazione dei corsi in corsucci persino di poche ore ha creato un clima isterico in cui lo studente deve superare un numero esorbitante di esamini, senza potersi mai fermare a studiare seriamente una materia in modo organico. Le università hanno pesanti responsabilità nell'aver contribuito a questa frantumazione.

Ciò riconduce all'antica questione se sia più colpevole Eva o il serpente. Sta di fatto che hanno giocato una parte rilevante i tanti serpentelli che hanno predicato (e predicano indefessamente) contro le università che sarebbero troppo dedite alla cultura, allo studio disinteressato, alla ricerca pura, invece di funzionalizzarsi in toto al mondo produttivo, uscendo dalle "torri d'avorio". Dalle torri d'avorio si è usciti da un pezzo ed ecco il risultato.

V'è poi la questione del corpo docente. Dagli anni settanta vi furono grandi immissioni ope legis ed era chiaro che in questi anni vi sarebbe stata una valanga di pensionamenti. Nulla si è fatto, producendo un' enorme frattura generazionale e la conseguente mancata trasmissione di esperienze e competenze. Le cifre - in controtendenza rispetto agli altri paesi avanzati e non - indicano un drammatico declino dell'università italiana  che viene osservato con insensibilità pari a quella con cui viene osservato il disastro dei beni culturali, e anzi proponendo di calcare la mano sulle ricette rivelatesi fallimentari. Si parla di "società della conoscenza" e si crede che questa possa reggersi su nuove generazioni sempre meno qualificate. Infine, il continuo taglio delle risorse ha ormai raggiunto livelli incompatibili con l'esistenza di un'università degna di questo nome. Un conto è razionalizzare la spesa - ma allora perché si trovano quattrini a palate per le follie dell'Anvur? - altro conto è credere che si possano fare le nozze con i fichi secchi. Sono stato di recente in un'università svizzera neppure di primo livello, e mi sono vergognato nel vedere la qualità delle aule, del campus, dei servizi. Quale rispetto, interesse, attrattiva può suscitare un'istituzione ridotta in uno stato di vero e proprio sfacelo?

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